Un impianto di depurazione tradizionale per il trattamento delle acque reflue urbane è in genere costituito da quattro sezioni (Fig. 1).
Figura 1. Tipico schema di trattamento di un impianto di depurazione a schema classico per grandi potenzialità (De Feo et al., 2012)
I pre-trattamenti sono finalizzati alla rimozione dei corpi grossolani, degli oli e delle sabbie e più in generale di quei composti che possono arrecare problemi nei trattamenti successivi. Il trattamento primario prevede la decantazione per gravità del refluo pre-trattato con l’obiettivo di rimuovere una parte consistente dei solidi sospesi totali (%SST ~ 65%) e una parte non trascurabile della domanda biochimica di ossigeno (Biochemical Oxygen Demand, %BOD ~ 30%). Il trattamento secondario, invece, è finalizzato alla rimozione della sostanza organica biodegradabile presente sia sotto forma particellare che in soluzione. Il trattamento, di natura biologica, è condotto da svariati microrganismi. I processi implementati nel depuratore di Fig. 1, si basano su microrganismi “sospesi” nella miscela aerata; il sistema cosi implementato, che comprende anche
le unità di sedimentazione secondaria, prende il nome di “sistema a fanghi attivi o a colture sospese”. Al sistema base, inizialmente sviluppato per la rimozione del BOD (che indicheremo anche con il termine di frazione carboniosa biodegradabile), sono stati affiancati altri processi biologici, operati chiaramente da differenti microrganismi. L’impianto di Fig. 1, al riguardo, implementa i processi di denitrificazione/nitrificazione, i quali sono finalizzati alla rimozione della frazione azotata presente nel refluo urbano influente all’impianto. Con la nitrificazione, l’azoto ammoniacale (NH4+) è dapprima convertito in nitrito (NO2-) grazie all’azione dei batteri ossidanti l’ammoniaca (es., nitrosomonas); successivamente, i nitriti sono convertiti in nitrati (NO3-) per effetto dell’azione dei batteri ossidanti il nitrito (es., nitrobacter). Le due famiglie sopra citate presentano un metabolismo autotrofo ed aerobico; si “nutrono” di carbonio inorganico (o interno, es. CO2) e necessitano di ossigeno. Con la denitrificazione, invece, i nitrati prodotti in nitrificazione sono convertiti in azoto gassoso (N2) e come tale rilasciati in atmosfera. La conversione è resa possibile dai svariati microrganismi denitrificanti quali Acinetobacter, Bacillus, Micrococcus, Pseudomonas, ecc. Differentemente dai microrganismi ossidanti e nitrificanti, questi sono anossici ed eterotrofi; la denitrificazione necessita di un ambiente privo di ossigeno ed il substrato carbonioso dovrà essere “esterno” (contenuto nel refluo influente o aggiunto ad hoc). A seguito dei processi di denitrificazione/ nitrificazione e di ossidazione biologica del BOD sopra descritti, è opportuno che i microrganismi siano separati dal refluo depurato; la sedimentazione secondaria assolve pertanto a questo compito. Il fango secondario (e biologico) cosi rimosso sarà in parte ricircolato in testa al sistema a fanghi attivi ed in parte allontanato (fanghi di supero). Sia i fanghi primari che i fanghi secondari saranno trattati nella linea fanghi dell’impianto (Fig. 1). L’effluente della sedimentazione secondaria è invece destinato ad un eventuale trattamento di affinamento (indispensabile per il recupero delle acque, come si dirà successivamente) ed alla disinfezione (obbligatoria). Per quanto riguarda i fanghi di depurazione, si prevede dapprima un trattamento d’ispessimento finalizzato alla riduzione del contenuto di umidità del fango e successivamente un trattamento di stabilizzazione della sostanza organica ancora presente nel fango nonché di riduzione drastica della carica patogena. La stabilizzazione di Fig. 1 è anaerobica e consente, inoltre, di produrre gas biologico utilizzabile ai fini energetici. Infine, il fango digerito è dapprima condizionato chimicamente e successivamente disidratato, prima dello smaltimento/riuso all’esterno dell’impianto. Il depuratore di Fig. 1 è un classico impianto a fanghi attivi o a colture sospese; processi di questo tipo sono ampiamente adottati proprio a causa della loro affidabilità e flessibilità. Di contro, le sfide degli ultimi anni, hanno richiesto lo sviluppo di processi più performanti (in termini di rimozione dei contaminanti) o anche, in grado di superare gli attuali limiti dei processi convenzionali (si pensi allo sviluppo di soluzioni compatte, in grado di occupare meno spazio). A tal riguardo, la Fig. 2 schematizza alcuni esempi di processi non convenzionali ed innovativi sviluppati negli anni.
Figura 2. Processi biologici non convenzionali e innovativi: (a) SBR - Sequencing Batch Reactor; (b) MBR - Membrane Biological Reactor; (c) MBBR - Moving Bed Biofilm Reactor; (d) SBBGR - Sequencing Batch Biofilter Granular Reactor (modificato da De Feo et al., 2012)
Gli impianti SBR (Sequencing Batch Reactor, reattore in batch sequenziale) si basano sull’attuazione sequenziale di più fasi di trattamento all’interno di un unico reattore. Generalmente, un processo SBR si compone di 5 fasi distinte (Fig. 2a): l’alimentazione del sistema, la reazione, la sedimentazione, lo scarico e l’attesa. I rendimenti di rimozione della sostanza organica, delle forme dell’azoto e del fosforo, nel caso delle acque reflue urbane, sono sostanzialmente paragonabili a quelli ottenibili con un processo a fanghi attivi continuo, così come le caratteristiche di sedimentabilità del fango (Andreottola et al., 2000). I sistemi MBR (Membrane Biological Reactor, reattori biologici a membrana), si basano sull’abbinamento dei processi a fanghi attivi con la tecnologia della microfiltrazione. Il refluo, presente nella vasca di ossidazione, viene dapprima sottoposto ai processi biologici di rimozione della sostanza organica e di nitrificazione e, successivamente, per mezzo delle membrane operanti nel campo della microfiltrazione, si realizza la separazione della biomassa dall’acqua (Stephenson et al., 2000). Le membrane sono barriere selettive realizzate in materiale emipermeabile, con pori microscopici, che consentono alle molecole dell’acqua ed alle sostanze disciolte di attraversare liberamente i pori, mentre intercettano solidi sospesi, batteri e virus (Fig. 2b). Le membrane utilizzate nei processi MBR (microfiltrazione) consentono la rimozione delle particelle di dimensioni del sub-micron, con un diametro variabile nell’intervallo di 0, 1-1, 0 mm e con pressioni operative fino a 500 kPa (5 bar). I reattori a letto mobile MBBR (Moving Bed BioReactors) sono reattori biologici, in genere di qualunque forma Figura 2. Processi biologici non convenzionali e innovativi: (a) SBR - Sequencing Batch Reactor; (b) MBR - Membrane Biological Reactor; (c) MBBR - Moving Bed Biofilm Reactor; (d) SBBGR - Sequencing Batch Biofilter Granular Reactor (modificato da De Feo et al., 2012) e dimensione, spesso per nulla differenti dalle vasche a fanghi attivi, in cui la biomassa batterica si sviluppa su opportuni mezzi di supporto porosi o a canale aperto, liberamente dispersi e sospesi nel mezzo liquido (Pastorelli et al., 1997). L’unica differenza rispetto alle vasche a fanghi attivi tradizionali è la presenza di una rete a maglia grossolana, posizionata a monte della bocca di efflusso della vasca, al fine di impedire la fuoriuscita dei mezzi di supporto (chiamati anche biocarriers, Fig. 2c) con l’effluente. I processi a letto mobile si caratterizzano per il fatto che, diversamente dai fiocchi di fango attivo, la biomassa si sviluppa su un mezzo di supporto. A valle del reattore MBBR si rende, perciò, necessaria una fase di separazione solido-liquido in grado di intercettare le pellicole di spoglio da trattare alla stregua di un fango di supero. Il sistema SBBGR (Sequencing Batch Biofilter Granular Reactor) è costituito esclusivamente da un unico reattore a flusso ascendente (Fig. 2d), parzialmente riempito da materiale plastico alla rinfusa, confinato tra due piastre, nel quale si sviluppano processi di ossidazione biologica e dal quale si provvede all’estrazione dell’effluente depurato (Di Iaconi e Ramadori, 2012). L’aerazione avviene in una zona esterna al materiale di riempimento; un pressostato, posizionato sul fondo del reattore, misura ine le perdite di carico derivanti dalla crescita della biomassa e dai solidi, presenti nel refluo, trattenuti per filtrazione. Al raggiungimento di un determinato valore delle perdite di carico, si effettua il lavaggio, eseguita con sola aria in pressione. Uno dei vantaggi del SBBGR è la possibilità di favorire l’aumento della concentrazione della biomassa all’interno del rettore (fino ad un ordine di grandezza maggiore di quelle presenti nei sistemi di trattamento tradizionali). Ciò comporta una conseguente riduzione della produzione di fango, stimata in 0, 1 kg (fango secco) per kg di COD rimosso (Chemical Oxygen Demand, Domanda Chimica di Ossigeno), 5-6 volte più bassa rispetto ai fanghi attivi convenzionali (Di Iaconi e Ramadori, 2012). La disamina delle tecnologie di cui sopra fornisce una chiara idea di come la ricerca nel campo delle acque degli ultimi decenni abbia sostanzialmente mirato allo sviluppo di processi alternativi a quelli esistenti, con l’intento di ridurre la produzione del fango da destinare allo smaltimento (ed è il caso dell’SBBGR) o l’ingombro volumetrico/superficiale di tali processi (Fig. 3).
Figura 3. Confronto tra processi biologici (convenzionali e non, innovativi) in termini di volume richiesto per la rimozione della frazione carboniosa dalle acque reflue urbane
Fonte
Periodico trimestrale della SIGEA
Società Italiana di Geologia Ambientale
Supplemento al n. 1/2019
ISSN 1591-5352
Atti del convegno
LA GESTIONE DELLE ACQUE DEPURATE
PER LA TUTELA AMBIENTALE
DEL SISTEMA COSTIERO
Fasano (BR), 5 giugno 2018
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